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Intervista a Cristiana Astori

Cristiana Astori

Intervista a Cristiana Astori

DDS ha intervistato Cristiana Astori, autrice dei thriller con protagonista Susanna Marino, sceneggiatrice e traduttrice: una delle voci più interessanti nel panorama del giallo e dell’horror italiano. Abbiamo parlato con lei delle sue opere, di film e dei suoi progetti futuri. Buona lettura!

Ciao Cristiana, benvenuta su DDS. Parliamo della tua ultima opera, uscita, lo scorso anno per Frilli Editore, Tutto quel viola. In questo libro ritorna il personaggio di Susanna Marino, studentessa appassionata di cinema horror, diventato molto popolare tra i lettori. Come è nata l’idea di questo romanzo, come sei approdata a Frilli Editore e in che modo questo personaggio riflette aspetti della tua personalità o delle tue esperienze

Grazie dell’invito, Gianfranco, è un piacere essere qui su DDS!
Tutto quel viola è nato dall’idea di raccontare la Torino esoterica: la città sabauda è sempre stato lo sfondo delle avventure della mia protagonista, Susanna, ma è la prima volta che racconto l’aspetto più tradizionalmente magico di tali location. Aspetto che mi sono divertita ad affrontare in una chiave diversa dalla classica letteratura sulla Torino magica, attraverso la figura del pittore ed esoterista Lorenzo Alessandri.
Frilli Editore ha come linea editoriale quella di pubblicare gialli e thriller in cui una determinata città fa da protagonista, e mi è parso perfetto per un romanzo come Tutto quel viola. Riguardo al personaggio di Susanna, come i miei lettori ormai sanno, oltre a essere entrambe curiose, testarde e insieme distratte, condividiamo la passione per i film e per i romanzi, specie quelli introvabili. Lei forse ha più di me la tendenza a cacciarsi nei guai, ma anch’io non scherzo!

In Tutto quel viola esplori l’esoterismo torinese attraverso la figura di Lorenzo Alessandri. Cosa ti ha attratta di più di questo artista e come ha influenzato la narrazione?

Vidi una mostra di Lorenzo Alessandri da ragazzina, e restai affascinata dal suo stile di pittura surrealista e insieme oscuro, una sorta di Magritte dark e sensuale. Alessandri è infatti l’deatore del movimento artistico Surfanta, ovvero Surrealismo Fantastico, a cui aderirono anche altri pittori torinesi attratti dal mistero (tra cui Colombotto Rosso, colui che ispirò il famoso quadro di Profondo Rosso). Ebbi la possibilità di parlare telefonicamente ad Alessandri, prima della sua fine avvenuta nel 2000. Provai subito un feeling nei confronti della sua poetica, lo trovai molto gentile e disponibile, e mi dispiacque che non fosse così conosciuto quanto avrebbe meritato. Per questo decisi che un giorno o l’altro – se mai avessi continuato a scrivere – gli avrei dedicato un romanzo. E così ho fatto.

Tutto quel viola

Nei cinque romanzi della serie che hai scritto, la giovane cinefila Susanna Marino va alla ricerca di misteriosi film realmente scomparsi. A volte, come la protagonista dei tuoi romanzi, anche a te è accaduto di ritrovarli. Ci racconti come è successo?

È capitato con un paio di film: Un giorno a Lisbona di Alfonso Nieva e con L’Autuomo di Marco Masi, due film introvabili rispettivamentre al centro di Tutto quel nero e di Tutto quel blu. Il primo è stato ritrovato alla Cineteca Madrid semisepolto da altre pellicole grazie al critico spagnolo Carlos Aguilar che avevo contattato durante le ricerche per il romanzo… ma la cosa particolare è che dopo averlo visto alla Cineteca era esattamente come l’avevo immaginato nel libro, scritto poco prima. La storia del ritrovamento è piuttosto complessa ma per chi leggerà Tutto quel nero scoprirà anche questi dettagli. L’Autuomo, invece, un misterioso film di fantascienza italiana anni 80, era sempre rimasto nelle mani del regista, Marco Masi. Dopo una proiezione fallimentare a un festival dell’epoca, Masi non aveva più voluto mostrarlo a nessuno, alimentando il mito della sua scomparsa. Sollecitato dalle mie ricerche e dalla simpatia che si è tra noi creata, l’eccentrico regista ha deciso di renderlo di nuovo visibile al pubblico. Ha infatti permesso di proiettarlo alla prima del mio romanzo Tutto quel blu nel 2014 presso il Cinema Trevi di Roma, luogo mitico per i cinefili romani e non solo, e che purtroppo ora non esiste più. La proiezione fu presentata dallo stesso Masi, che fino ad allora non aveva più mostrato il suo aspetto al pubblico, né dal vivo né in fotografia.

Fuoriorario: 22 racconti del Mistero è una tua antologia, autoprodotta, che raccoglie tutti i racconti degli ultimi anni. Ci racconti come è nato il progetto e come si è sviluppata l’idea di suddividerlo come se fosse una proiezione di un cinema (Primo spettacolo, Intervallo, Secondo spettacolo, Grindhouse)? Ci sono uno o più racconti a cui ti senti maggiormente legata? E per quale motivo?

Il progetto è nato il giorno del mio compleanno, durante il Covid. Ero a casa da sola per via del lockdown e, mentre assaporavo un take away cinese, ho pensato: “ora voglio inventarmi qualcosa di bello per me e per i miei lettori”. Non un romanzo, perché tra l’altro stavo ancora lavorando a Tutto quel viola, ma qualcosa di più immediato, e così tra spaghetti di soia piccanti e ravioli al vapore, mi è venuta l’idea di raccogliere i miei racconti in un’antologia che avesse la stessa struttura dell proiezioni cinematografiche. Era un modo per celebrare la mia passione per il cinema, creare un trait d’union con le storie di Susanna (l’Intervallo è dedicato a Soledad Miranda), inoltre non nascondo che mi abbia anche influenzato Joe R. Lansdale, mio autore cult, con La notte del drive in. La maggior parte dei racconti non sono inediti, ma sono comunque introvabili, perché scritti per diverse antologie o riviste che ora non sono più ristampate, e visto che molti lettori mi hanno chiesto di poterli leggere (specie quelli relativi ai vampiri, genere che adoro! e al personaggio di Axl Reverte) allora mi è parso un bel regalo riunirli in un solo volume. Fuoriorario è finora l’unico mio libro autoprodotto: volevo essere totalmente autonoma su ogni scelta editoriale, a partire dalla ripartizione per spettacoli di cinema fino alla cover, che ritrae una fotografia del talentuoso artista Ettone, in perfetto stile con le mie storie

Tutto quel buio

 

Oltre che di thriller, sei un’appassionata del genere horror. C’è un’avversione dell’elemento fantastico, a tuo parere, da parte del lettore o dell’editoria di thriller in Italia? Più in generale quale pensi sia lo stato della letteratura fantastica nel nostro paese? È destinata a rimanere un settore di nicchia?

Oggi, nell’epoca in cui furoreggia il genere true crime, interessarsi a un fatto di cronaca dà una sorta di alibi sociale, cela la morbosa curiosità relativa a un fatto di sangue sotto l’apparente desiderio di giustizia. Interessarsi ai crimini di Ed Gein o di Donato Bilancia, insomma, è più socialmente rispettabile che leggere storie di zombie o di vampiri. La veridicità dell’accaduto è anche una sorta di rassicurazione per il fruitore, un modo per proiettare all’esterno il suo lato oscuro. Coloro che non amano il fantastico, in fondo, sono gli stessi che tentano di decodificare i film di David Lynch. In un’epoca in cui tutto è spiegato, si teme l’immaginario. Affidarsi a esso è un po’ come assistere a un’incursione dell’inconscio nella realtà, e questo ci spaventa. Per questo la maggior parte della gente predilige le storie vere, e gli editori seguono e incentivano volentieri tale tendenza per motivi commerciali. Ma ci sono anche autori come Lansdale (e non solo) che declinano realismo e insieme fantastico con un ottimo riscontro di pubblico. Io stessa amo contaminare i due generi, e chi mi legge lo apprezza. Non produco bestseller e per motivi di tempo non scrivo molto, ma ciò che racconto viene spesso citato e ricordato dai lettori, e questo credo avvenga perché si discosta dai ripetitivi schemi della narrativa commerciale. Tutto ciò è di nicchia? Forse sì, ma la nicchia si sta ampliando… basti dire che da quest’anno, qui a Roma, nasce la fiera Oblivion, dedicata alla narrativa dell’irrazionale, al weird all’horror e in genere al fantastico: una nuova realtà si affianca ad altri eventi che si stanno diffondendo da un po’ di tempo nella penisola, e tutto ciò mi pare bellissimo.

Come traduttrice hai avuto modo di lavorare sui romanzi, tra gli altri, di Dexter di Jeff Lindsay da cui è stata tratta, l’omonima celebre serie TV. Cosa ci puoi raccontare di questa esperienza?

È  da un po’ che non svolgo il mestiere di traduttrice, in quanto, oltre all’attività di bibliotecaria, ho scelto di dedicarmi alla scrittura, ma senza dubbio Richard Stark  e Jeff Lindsay li ricordo come gli autori più sanguinari e violenti ma, non a caso, i più divertenti ed esilaranti a cui ho dato voce. Parker e Dexter, due killer, ma nello stesso tempo due gentleman d’altri tempi che, se pure in modo diverso, sanno usare in modo unico l’arma dell’ironia, aspetto che oggi nel cinema e nella narrativa latita sempre di più. Per chi seguisse la serie di Dexter, ma non l’avesse mai letto, consiglio caldamente i romanzi, perché sono ancora più cattivi della serie TV, e contengono storie diverse. Il migliore è senza dubbio “Dexter il Delicato” su un surreale caso di cannibalismo. La saga è narrata interamente in prima persona, e Dexter ha un lessico tutto suo, tra cui, per esempio, la predilezione delle parole che cominciano con la D, in una sorta di folle allitterazione: tradurlo è stata una sfida stimolante e senza dubbio divertente

Fuoriorario

Parliamo del processo creativo. Dell’ideazione di una storia e del suo successivo sviluppo. Quali sono le tue tecniche narrative? Quanto conta la documentazione?

La documentazione per me è fondamentale, per diversi motivi. Innanzitutto, perché da lettrice prediligo romanzi tridimensionali e non piatti, in cui non mi interessa sbrigarmela in fretta per vedere come va a finire, ma mi diverto a vivere quel mondo come se fosse reale, e per fare tutto ciò non si può fare a meno di documentarsi. Questo non vuol dire riempire il racconto di infiniti dettagli, ma sforzarsi di inserire quelli giusti che trasportino il lettore in un dato luogo o atmosfera. Per farlo sarà dunque necessario avvalersi di quelli più insoliti sui quali è necessario informarsi. Chi scrive non è esperto di tutto, ma è semplicemente curioso di conoscere. Altro motivo per cui amo documentarmi, è che a volte scelgo di raccontare una certa storia perché per scriverla è necessario fare ricerche su un determinato mondo, un esempio fra tutti, il mondo del collezionismo cinematografico e dei film scomparsi. Se non avessi dovuto scriverci un romanzo sopra, non mi sarei mai messa a cercare Un giorno a Lisbona, e di certo non l’avrei mai trovato. A volte la scrittura aiuta a fare luce sulla realtà, e tutto ciò lo trovo affascinante.

Quali consigli daresti a chi desidera intraprendere una carriera nel mondo della scrittura?

Credo che ognuno, se è davvero appassionato di scrittura, possa trovare da solo il suo percorso; quindi, più che consigli le chiamerei indicazioni. Non sono un’amante delle scuole di scrittura, personalmente non ne ho mai frequentate a parte un breve corso di sceneggiatura da ragazzina, e non credo nei manuali pedissequi che riconducono lo scrivere a una serie di formulette e stratagemmi per storie fredde e fatte con lo stampino. Ma la lettura del Viaggio dell’eroe di Christopher Vogler la trovo imprescindibile: scrivere è un percorso che facciamo innanzitutto dentro di noi, e Vogler ci guida in questo percorso, in cui, mentre i nostri personaggi combattono i villain, noi affrontiamo le nostre ombre.
Last but not least: Leggere, Leggere, Leggere, Leggere, Leggere. Amo il cinema e non mi dispiacciono le serie tv, ma per scrivere romanzi non basta guardare film e fiction. Leggere ci trasmette il ritmo  della narrazione, la musicalità, il lessico; leggere ci appassiona a scrivere e ci dà tutti gli strumenti per osare, al di là del piatto conformismo di una storia deja-vu.  Perché per scrivere bisogna essere ribelli, umili e temerari, ma anche molto, molto testardi.

Libro, film, fumetto o serie TV che hai visto, di recente, e ti senti di consigliare ai lettori di DDS.

Ho terminato di recente “Ragazzo divora universo” dell’australiano Trent Dalton, un romanzo di formazione che è anche un crime, un noir, un dramma e una storia d’amore. Amore non soltanto verso una ragazza, ma verso i propri sogni… anche se sei un ragazzino di dodici anni, tuo fratello non parla, tua madre spaccia, abiti in un quartiere malfamato di Brisbane, e la gente intorno a te pare uscita da un film pulp di Quentin Tarantino. Ma poi squilla un misterioso telefono rosso e l’universo si rivela a te con una serie di colpi di scena… In “Ragazzo divora universo” si respira l’atmosfera dei ragazzini di King e il piglio del Giovane Holden, ma è in realtà una storia originale il cui protagonista non può non starci simpatico. Su Netflix c’è anche la serie tv, non l’ho vista ma visto lo stile particolare di Dalton vale la pena di leggere prima di tutto il libro

Quali sono i tuoi progetti per il futuro, ci puoi dare qualche anticipazione?

Sto scrivendo un nuovo romanzo con un nuovo personaggio. E senza il cinema. Tutto nuovo. Pensavo Susanna la prendesse male, ma mi ha confessato che un po’ di relax da certi killer psicopatici ogni tanto non guasta.

 

Cristiana Astori è nata ad Asti e vive a Roma. La sua raccolta di racconti Il Re dei topi e altre favole oscure è il primo libro italiano a cui Joe R. Lansdale abbia dedicato una frase di lancio. È autrice della Trilogia dei Colori (Tutto quel nero, Tutto quel rosso, Tutto quel blu, 2011-2014) edita dal Giallo Mondadori, a cui è seguito Tutto quel buio(Elliot, 2018) e Tutto quel viola (F.lli Frilli, 2023; nei quattro romanzi di serie la giovane criminologa Susanna Marino va alla ricerca di misteriosi film realmente scomparsi. A volte, come nel caso dei suoi romanzi, anche a lei è accaduto di ritrovarli.

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